Un professionista della relazione d’aiuto deve avere la capacità di essere sempre in contatto con se stesso oltre che con la persona che sta seguendo.
Seppur l’attenzione e la consapevolezza nel qui e ora sono gli strumenti basilari per fare uno scan su come siamo e come ci atteggiamo all’interno della seduta, ritengo essenziale avere degli strumenti come schede di autovalutazione sul proprio stato d’animo nell’incontro, sugli aspetti legati al cliente, alle tecniche usate, a cosa non è stato fatto e si poteva fare, agli errori commessi, alle tematiche rilevanti, ai momenti di empasse e a quelli d’insight, a come ci si è lasciati alla fine della seduta….Insomma una varietà molto ampia di indicatori fenomenologici, di contenuto ed emotivi che si sono avvicendati durante la seduta.
Il tempo tra una seduta e l’altra (sufficientemente ampio da includere un momento di respirazione, di stacco e riposo dal fluire di pensieri ed emozioni dell’incontro precedente),deve a mio avviso includere anche uno spazio per questo monitoraggio, magari facilitato da schede di autovalutazione con tutti gli indicatori già compilati. A caldo saranno messi in evidenza quelli concernenti i punti che riguardano sensazioni, emozioni, comportamenti, a cui seguirà a in un tempo successivo, non troppo lontano, a freddo, una riflessioni sugli aspetti più cognitivi e strategici, utili per una più adeguata pianificazione dei passi successivi del percorso.
Il professionista della relazione di aiuto deve essere sempre attento, istante dopo istante, ai suoi passi e a quelli del suo compagno di viaggio, mantenendo al contempo la visione e la prospettiva sulla fine del percorso insieme.